Crossmedialità e transmedialità, differenze e usi

Avete mai sentito parlare di crossmedialità e transmedialità? E soprattutto avete capito che cosa sono e in cosa differiscono?
Eccoci con una breve guida per dissipare ogni dubbio.

Henry Jenkins, professore di comunicazione alla University of Southern California, ha proposto sul suo blog otto caratteristiche fondamentali dello scenario dei nuovi media. Un insieme di pratiche e tratti culturali che ritraggono come gli individui della società si relazionano ai mezzi di comunicazione. Il panorama mediatico contemporaneo è: innovativo, convergente, quotidiano, interattivo, partecipativo, globale, generazionale e ineguale.
Questo è il quadro generale nel quale si sviluppano i fenomeni crossmediali e transmediali.

I termini crossmedia e transmedia fanno riferimento entrambi a narrazioni distribuite contemporaneamente su più media, ma non sono sinonimi. I fenomeni crossmediali si concentrano sul racconto e la trasmissione di un’unica storia, invece i fenomeni transmediali veicolano mondi narrativi complessi (storyworld) che arrivano a creare vere e proprie cosmogonie.

Entrambi i fenomeni riguardano lo storytelling, ovvero la narrazione di una storia che può avere come protagonista un brand. Dunque, sia lo storytelling crossmediale sia lo storytelling transmediale sono paradigmi efficaci da applicare alla comunicazione di un brand per instaurare un legame profondo con il target di riferimento.

Si può parlare di crossmedia quando vengono coinvolti vari media, sia analogici e digitali, sia unicamente digitali, che si supportano a vicenda grazie ai loro specifici punti di forza, e hanno come obiettivo finale una produzione integrata. La produzione integrata riguarda la capacità dei diversi media di veicolare una stessa storia su diverse piattaforme che ne supportano l’interazione, infatti i contenuti crossmediali devono essere distribuiti su più dispositivi.
La peculiarità della crossmedialità è che il pubblico non ne nota la presenza bensì l’assenza, le audience si accorgono quando manca il coinvolgimento di più media e piattaforme e non quando ciò avviene.
La crossmedialità si configura come un’opportunità anche per i brand per massimizzare gli investimenti e ridurre i rischi di produzione: ridurre la distribuzione di un contenuto attraverso un unico medium è un’occasione sprecata sotto tutti i punti di vista. Dobbiamo ricordarci infatti che questi testi contribuiscono alla brand awareness.

La transmedialità è un fenomeno che amplia la produzione di senso fra i canali e le audience e risponde ai cambiamenti della società attraverso la progettazione di contenuti che offrono esperienze coinvolgenti all’utente. Jenkins conia il termine transmedia storytelling e lo descrive come “l’insieme di storie che si dispiegano su più piattaforme mediatiche e per le quali ciascun medium coinvolto dà il suo contributo specifico alla nostra comprensione del mondo narrato, così come un approccio più integrale allo sviluppo dei franchise rispetto ai modelli basati sui testi originali e sui prodotti ausiliari”.
In un modello transmediale ideale abbiamo un mondo narrativo distribuito attraverso vari canali che sono coinvolti per quello che sanno fare meglio e sono capaci di migliorare la fruizione delle audience, aumentandone la motivazione al consumo.
Inoltre, dai progetti transmediali cogliamo l’importanza dei personaggi ben sviluppati e capaci di instaurare un legame emozionale con l’audience.

Crossmedia e transmedia: differenze

Una delle prime differenze che salta all’occhio è che un progetto crossmediale è un adattamento che crea nuovi punti di accesso alla narrazione, attraverso l’uso di canali multipli, ma non contribuisce all’aumento della conoscenza del mondo narrativo.

Diversamente, nei sistemi transmediali ogni composizione concorre in maniera distintiva alla narrazione totale.

Inoltre, i progetti crossmediali e transmediali, pur avendo in comune il riferimento a veri e propri mondi narrativi, si differenziano per il modo in cui i contenuti vengono distribuiti sui canali: se la fruizione di diverse parti non ci permette di conoscere nuovi dettagli allora abbiamo davanti a noi un progetto crossmediale.

Crossmedia e transmedia: usi ed esempi

E ora veniamo ad alcuni dei casi meglio riusciti di progetti crossmediali e transmediali.

Out My Window è un documentario integralmente interattivo, che presenta un’interfaccia esplorabile e che propone alcune riflessioni sull’urbanizzazione attraverso gli occhi di coloro che vivono nelle periferie (le città coinvolte sono 13 tra cui Amsterdam, Beirut, Chicago e Johannesburg). Diventa un progetto crossmediale a seguito dell’adattamento del web doc nell’installazione interattiva dell’artista Priam Givord, Out My Window Story Space Installation.

Come abbiamo visto il primo passo per progettare una narrazione transmediale è sviluppare un mondo narrativo da cui avranno origine storie da diffondere su diversi canali. Uno dei primi e dei più famosi esempi di transmedialità è The Matrix. La narrazione è stata distribuita attraverso tre lungometraggi, degli anime, giochi digitali, un MMoRPG e una serie di comic book. Si possono fruire i contenuti sui singoli medium ma spostandosi da un canale all’altro si scoprono nuovi frammenti della storia. Quanto ciò abbia coinvolto e convinto il pubblico si nota dalle fanfiction e fanmovie creati dalle audience e dedicati all’universo narrativo di The Matrix.

La crossmedialità e la transmedialità sono fenomeni che prendono sempre più piede e che applichiamo a progetti di comunicazione integrata per ogni tipo di attività e ambito lavorativo.

Il team di CTT è pronto ad aiutarvi nell’organizzazione del vostro evento e della vostra strategia di comunicazione, crossmediale o transmediale, non esitate a contattarci!