L’empatia in azienda

Davvero? Vuoi veramente convincere i tuoi a usare l’empatia in azienda?

Essere empatici, facile a dirsi, ma non sempre facile a farsi.

Soprattutto non è ancora del tutto riconosciuto come approccio costruttivo all’interno di organizzazioni di lavoro, ma oggi più che mai le aziende sentono il bisogno di diventare veramente sensibili alle esigenze dei propri clienti e dipendenti.
Il mondo aziendale è uno spazio sempre più immediato, intimo e interattivo, dove la richiesta è di impegnarsi in un dialogo autentico.
Questo desiderio di cambiamento è però contrastato dalla paura di apparire deboli… risultato: sappiamo tutti che essere empatici è importante, ma come vincere le paure e le convinzioni pregiudizievoli?

“Le aziende illuminate sono sempre più consapevoli che fornire empatia per i propri clienti, dipendenti e il pubblico è un potente strumento per migliorare i profitti, ma i tentativi di implementare programmi di empatia sono spesso ostacolati dal comune malinteso di esso come wishy-washy, touchy-feely e apertamente femminile.” Dice Belinda Parmar nel suo articolo Corporate Empathy Is Not an Oxymoron.

Già avete letto bene!

“Quindi l’empatia viene de-prioritizzata e relegata allo stato di un’altra iniziativa per le risorse umane che sembra buona nella newsletter dell’azienda. È visto come un componente aggiuntivo morbido e frizzante piuttosto che uno strumento fondamentale.

È possibile dare un metro di misurazione all’empatia in ambito aziendale?

Prosegue Belinda Parmar ponendo in luce come un problema che i CEO devono affrontare è chiarire che l’empatia non è una qualità astratta, intangibile. Non è così, l’empatia e quantificabile esiste, infatti un metodo di analisi del quoziente di empatia delle aziende.
Bene quindi possiamo misurare il grado di empatia della nostra azienda, con che formula?
Considerando tre variabili: il cliente, il dipendente e i social media. Si considera la combinazione di questi, con uguale ponderazione, attraverso i tre canali, rispettivamente esterno, interno e sociale. Il risultato è il quoziente di empatia di un’azienda.

Questa formula è stata applicata alle 100 maggiori aziende del Regno Unito in cui opera The Empathy Business di cui è CEO Belinda Parmar.

Sono rimasta incredibilmente sorpresa nel leggere che i primi posti non sono stati tutti occupati dai marchi tecnologici alla moda e il fondo non è stato dominato dalle banche multinazionali. Il settore che è andato peggio è stato quello delle telecomunicazioni, con Vodafone e BT che hanno ottenuto punteggi particolarmente negativi. La soddisfazione dei dipendenti e dei clienti sono le vittime della corsa ai profitti a breve termine endemica in quel settore. Le loro strategie sui social media raccontano una parte della storia: dipendono eccessivamente da risposte preconfezionate inutili che semplicemente indirizzano i clienti a forme di contatto più tradizionali, come i call center.

Ma chi ha vinto?

L’azienda più performante è stata LinkedIn. È stato sorprendente che LinkedIn abbia effettivamente una forte presenza sulla piattaforma rivale Twitter. Ci si potrebbe aspettare che costringano i clienti esclusivamente a utilizzare i propri canali di comunicazione, che è la politica di Twitter e Facebook. Invece, l’azienda si sforza di andare dove sono i suoi clienti, anche a rischio di essere vista per sostenere un prodotto rivale. Questo approccio mostra che LinkedIn è in sintonia con gli interessi e le scelte dei suoi clienti.”

Personalmente mi aspettavo che le piccole e medie imprese si sarebbero trovate nelle migliori posizioni, invece dallo studio emerge che le grandi aziende erano distribuite in modo uniforme e ben rappresentate a entrambe le estremità della scala.

“Non c’è assolutamente alcuna prova che essere grandi automaticamente ti renda poco empatico. La mancanza di empatia non è sicuramente un problema di scala, ma piuttosto un’indicazione delle priorità di gestione.

Pochissime aziende sono buone empatizzanti a tutto tondo. Persino LinkedIn ha sottoperformato il nostro punteggio di interazione con i clienti. L’indice evidenzia che ciascuna delle cento società aveva margini di miglioramento. Due risultati particolari meritano di essere enfatizzati: i clienti non perdonano un servizio scadente e comunicazioni non autentiche. E le aziende che vedono l’empatia come un problema unidimensionale delle relazioni con i dipendenti non riusciranno a realizzare i vantaggi più ampi di diventare più empatiche attraverso gli altri due canali.”

Dopo aver letto tutto questo sono ancora più convinta delle scelte attuate nell’approccio empatico di CTT, sia nei confronti dei collaboratori che dei clienti.

Possiamo migliorare?

Sicuramente sì! Nel mondo aziendale c’è un ampio margine di miglioramento. Attraverso la formazione si possono educare le persone all’empatia e quindi rendere l’intera struttura più empatica, infatti una leadership illuminata può migliorare tutto l’ambiente lavorativo. Ovviamente è necessario impegno e un grande lavoro, ma io sono fermamente convinta che ne valga la pena.

Chiudo con un passaggio che riassume quanto detto fino a qui: “l’empatia non è un valore nutritivo morbido, ma uno strumento commerciale duro di cui ogni azienda ha bisogno come parte del proprio DNA. Il nostro obiettivo è rendere individuale ogni interazione che i nostri clienti hanno con noi.”
Schuster ha implementato un programma di formazione sull’empatia in tutta la Germania che ha portato a un aumento della soddisfazione dei clienti del 6% entro 6 settimane. Anche le società del settore con le peggiori performance del nostro Indice possono mostrare rapidi miglioramenti, data l’attenzione mirata del management. L’empatia paga e paga meglio quando viene dall’alto.”