Inclusività e digitale: il cambiamento del linguaggio
L’esclusività di genere in Italiano
La lingua italiana, in quanto latina, predilige naturalmente il genere maschile. Ad esempio, per riferirsi ad un gruppo di persone composto sia da donne sia da uomini, si usa il plurale maschile riferendosi al gruppo come ‘tutti’ loro. Questo succederebbe anche se il gruppo fosse composto da una maggioranza femminile. ‘Tutti’ è una parola usata moltissimo, in ambito colloquiale e formale, ed ha una valenza importantissima, in quanto il significato ha lo scopo di includere tutte le persone a cui si sta riferendo.
In italiano, inoltre, per parlare del genere umano, si usa la parola ‘Uomo’, dal latino ‘Homo’, e cioè uomo maschio. Questo non avviene solo nella nostra lingua. Di lingue ce ne sono a migliaia, ed ancora di più sono i loro dialetti. Ciò che le accomuna tutte però, è proprio la loro appartenenza allo stesso mondo e di conseguenza ai suoi valori, antichi e spesso maschilisti.
La semantica, il linguaggio, scritto o parlato, sono una forma di espressione e di appartenenza culturale. In ogni paese si trovano così tante variazioni della stessa lingua, che è difficile non rimanerne affascinati, o immaginarsi un mondo senza parole. È importante però riconoscere che, come molte forme di espressione, anche la linguistica fa riferimento a degli schemi sociali ben precisi, e noi li seguiamo, senza necessariamente sapere il perché.
Che implicazioni può avere però l’esclusività di genere della nostra lingua?
La categorica esclusività di genere imposta dal plurale maschile, può contribuire alla creazione di bias e pregiudizi di genere. Di conseguenza, crescere in una società la cui linguistica tende a rappresentare solo una categoria, può essere dannoso per chi, a quella categoria, o non appartiene o sente di non appartenervi. Lo stretto collegamento tra società e linguaggio, e come entrambi si sviluppino attorno allo standard maschile, è stato definito ‘fallo-logo-centrismo’ da Jacques Derrida, filosofo francese del ‘900. Secondo Derrida, il ‘fallo-logo-centrismo’ descrive la prevalenza del genere maschile nella costruzione linguistica. Ciò fa in modo che il linguaggio rifletta la struttura della società e la sua tendenza all’essere esclusiva, e cioè per pochi, rendendo più difficile raccontare un passato, presente o futuro, dove a fare da protagonista, non sia solo la categoria maschile.
I cambiamenti del linguaggio e la parola ‘inclusività’
“Nel 2008 il Parlamento europeo è stato una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue sulla neutralità di genere nel linguaggio.”
Dì lì a poco, molte istituzioni in Europa e non solo, hanno iniziato a prendere in considerazione la tematica, incentivando ad un cambiamento dell’uso della parola, sia a livello mediatico che nel linguaggio di tutti i giorni. A seguito di tali decisioni parlamentari, in Italia, si è sentito molto parlare di ‘inclusività’, una parola che fa riferimento al suo corrispondente inglese ‘inclusivity’ e che invita, in tutti i campi, ad ampliare i propri orizzonti rispetto a quello che pensiamo siano ‘norma’ e ‘normalità’. L’obiettivo di questa parola, opposta alla ‘esclusività’ di cui parlavamo poco fa, è infatti quello di sbrogliare i bias culturali che assimiliamo involontariamente crescendo, per raccontare una visione del mondo contraria alle divisioni legate a genere, razza e classe. La parola inclusività ha in sé un significato bellissimo e speciale, soprattutto nel mondo di oggi, che fa da testimone ai suoi mutamenti culturali.
Purtroppo però, proprio per la forzatura indotta dal volere o dovere assumere un atteggiamento inclusivo, molte persone hanno sentito un rifiuto istantaneo nei confronti della materia. È difficile allontanarsi dalle proprie abitudini, e quando queste riguardano un’azione così naturale come il parlare o lo scrivere, si tende a rifiutare il cambiamento. La parola però, come dicevamo qualche settimana fa, è uno strumento importantissimo e talvolta sottovalutato e, ciò che la rende davvero affascinante, è il suo valore narrativo. È proprio infatti attraverso la narrazione che si possono creare nuove storie, comprensive di una rappresentazione più ampia e vera del nostro quotidiano.
/ ə / La schwa e il mondo digitale
Il simbolo schwa / ə /, è stata una novità rivoluzionaria nel campo della linguistica e di conseguenza in quello della comunicazione. Come simbolo, ponendosi graficamente tra ‘a’ ed ‘e’, e pronunciandosi come una vocale indistinta, simile a quella che i napoletani usano per l’imprecazione ‘mamm’t‘, ha come funzione quella di virare l’uso del plurale maschile verso un’alternativa più aperta ed inclusiva rispetto all’identità di genere.
Scrittrici e scrittori che nel passato hanno mostrato attenzione verso la materia, ne hanno già fatto ampio uso su piattaforme social e scritti. Il simbolo ‘ə’ inizia infatti a trovare il suo posto in pubblicazioni cartacee come ad esempio ‘Morgana. L’uomo ricco sono io’ di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, scritto interamente con il simbolo schwa. Questa novità ha anche attacchito su social come Instagram e TikTok dove il dibattito sulle questioni di genere ed inclusività, è più acceso che mai.
Per questi motivi, il mondo digitale ha prontamente risposto alla nascita di ‘ə’, dando spazio a tale novità. Sia Microsoft che Apple, hanno introdotto nei loro ultimi aggiornamenti la presenza di tale simbolo, per fare in modo che chiunque possa usufruirne nel campo della comunicazione digitale.
L’evolversi di questioni come quella riguardante l’inclusività di genere, sta portando risultati davvero preziosi. La semantica e il linguaggio, sono forse i campi in cui si cominciano a percepire di più tali cambiamenti. La bellezza che ne deriva è il potenziale che ciò ha su ogni singola persona. Oltre alla comunicazione mediatica infatti, le parole sono anche poesia, espressione creativa e voce. Connectional Think Tank guarda alla possibilità di un linguaggio più fluido con entusiasmo, volendo creare storie di ieri, oggi e domani, rispecchiando una realtà più giusta ed equa.