Psicologia cromatica e percezioni individuali
La vista è senza dubbio uno dei sensi maggiormente stimolati nella comunicazione. Cresciamo e viviamo in un mondo che si esprime attraverso immagini ricche di informazioni da assimilare molto velocemente. Durante la giornata ne incontriamo a centinaia, se non di più. Tali informazioni visive sono principalmente composte da due elementi fondamentali: colori e forme. Essi a loro volta seguono parametri e trend prestabiliti, come per esempio quello del colore dell’anno, che, una volta scelto dal Pantone Color Institute, va ad influenzare la maggior parte delle scelte cromatiche nel campo della comunicazione visiva.
Inconsciamente il nostro cervello riassume ciò che vede in categorie, semplificando la quantità di input che riceve. Ciò avviene attraverso i famosi bias cognitivi, di cui ci parlava qualche tempo fa Andrea Varsori, e di come siano proprio essi ‘l’errore sistematico che ci permette di capire che siamo persone e non computer’ e di come ci rendano essenzialmente ‘non razionali’. Ad esempio, per quanto ci piacciano la forma e il colore di un prodotto, non riusciremo mai del tutto a distaccarci completamente da ciò che già inconsciamente sappiamo di esso. Il fatto che sia di un determinato colore, il quale può essere riconducibile ad una specifica categoria di genere, e che quindi ci rappresenti o meno, oppure che abbia una forma più o meno popolare, e che quindi sia o no un must da avere.
L’individualità non si può categorizzare
Nonostante però il colore e la forma giochino un ruolo importantissimo nel campo della comunicazione e se utilizzati in maniera strategica possono diventare uno strumento di marketing fondamentale, stiamo attraversando un momento di grande cambiamento per quanto riguarda gli utilizzi di essi. Secondo la psicologia di colore e forme, entrambi sarebbero in grado di influenzare decisioni ed impressioni del consumatore, direzionandolo nelle sue scelte. Ma è davvero così semplice? Colori e forme aiutano ad entrare in sintonia o in contrasto con l’immagine e l’oggetto che incontriamo, ma ci sarà sempre un livello di individualità che ognuno di noi stabilirà con esso, in modo diverso. In sostanza, essendo noi tutti diversi, non sarà mai né solo il colore, né solo la forma e nemmeno solamente l’unione di entrambi, i fattori chiave determinanti la popolarità di qualsiasi servizio o prodotto. Ne saranno invece la combinazione, spesso inusuale, di essi, unita alla personalità e versatilità del brand, a renderli interessanti all’acquirente. Ad oggi, sembra infatti che le persone apprezzino sempre di più la fluidità e flessibilità del servizio a cui si avvicinano, ed è proprio per questo motivo che sono i brand stessi a doversi presentare come tali.
I limiti del Neuromarketing
È qui che entrano in campo i limiti del concetto di neuromarketing per quanto riguarda colori e forme. Il neuromarketing è l’applicazione della neuroscienza al marketing, e quindi l’analisi dei meccanismi presenti nell’inconscio del consumatore, che influenzano le sue scelte nel momento dell’esposizione ad un determinato brand o prodotto. È importante sottolineare però che le categorie a cui si affida in neuromarketing, non sono universali, e quindi non sono applicabili ad ogni singolo individuo, alla sua esperienza personale ed alla rispettiva cultura di appartenenza. È necessario prendere in considerazione le diversità che caratterizzano e distinguono ognuno di noi, diversità che non sempre possono essere catalogate e divise allo stesso modo.
Servizi fluidi: Google e Facebook
Due esempi fondamentali per capire come la versatilità cromatica di un servizio sia proprio il fattore che rende il servizio stesso più popolare rispetto alla media, sono la voce Assistente Google e la chat di Facebook Messenger. Esiste infatti, in entrambi i servizi, la possibilità di cambiare il colore del pulsante che li attiva. Nel caso di Google, oltretutto, il colore può essere affiancato ad una voce più femminile, più maschile o più neutra, a seconda delle proprie esigenze, senza fare in modo che siano proprio quei bias cognitivi sopracitati, a fare si che un determinato colore venga associato ad una specifica identità di genere o intonazione. Nel caso di Facebook, invece, dove non è presente un’interazione vocale, l’utente può esprimere la propria appartenenza cromatica cambiando il colore dell’interface della chat sul servizio Messenger. In tutti e due i casi, questo servizio ha preso piede, e si è notato come gli utenti stessi siano spinti a personalizzare i loro servizi. Questo avviene perché ogni singolo individuo è incentivato ad esprimere il cambiamento costante delle proprie esigenze, e della propria identità, attraverso l’uso fluido e flessibile del colore. La differenza tra persone e macchine sta infatti proprio nell’individualità, e per quanto si provi a rendere parte di un sotto insieme ogni singolo comportamento, ci sarà sempre una chiave di lettura individuale e non categorizzabile da tenere in considerazione.